Gratitudine - Tratto da: www.treccani.it/vocabolario/gratitudine
- Gratitùdine s. f. [dal lat.
tardo gratitudo -dinis, der. di gratus «grato, riconoscente»].
– Sentimento e disposizione d’animo che comporta
affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio
ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare (è sinon.
di riconoscenza, ma può indicare un sentimento
più intimo e cordiale): avere, sentire, nutrire
g. per (o verso) qualcuno; serbare, mostrare g. a qualcuno;
g. sincera, profonda; atto, manifestazione, segno di gratitudine.
Noi umani, con la coscienza del beneficio avuto (ragionamento
su fattori che hanno portato a riceverlo), assumiamo verso
coloro che si sono prodigati in tal senso, un atteggiamento
particolarmente intimo / sudditante, riconoscendo quello
stesso atteggiamento, quando lo vediamo in altri, come
tale, cioè ricco dello stesso significato.
Come sempre, la nostra egocentricità ci porta
a decodificarlo in egual modo, anche se di fronte abbiamo
un Animale di altra specie. Vedi: la Bestia Feroce
che dopo essere stata liberata dalla spina conficcata
nella zampa, mostra: "riconoscenza e gratitudine"
verso il suo salvatore; oppure il Cagnetto salvato da
una situazione pessima, che si mostra al suo salvatore
con occhi languidamente amorevoli.
Nella realtà, gli Animali non domestici,
vedono probabilmente i salvatori, non come una minaccia,
e di conseguenza non assumono verso di loro atteggiamenti
particolarmente difensivi od offensivi. I più bisognosi,
forse tentano anche l'avvicinamento (ricordiamo il Lupo
in solitaria che, a seconda della sua personalità,
cerca un Branco in cui inserirsi, un Compagno o Compagna
per crearne uno nuovo, i villaggi di uomini limitrofi
al bosco); forse i più timorosi scappano e i più
sicuri invece, forse si fermano per capire chi e cosa
siamo.
Nel Domestico invece, quegli atteggiamenti così
remissivi, così cerchi di confidenza e i loro opposti
(atti infantili attivi o non infantili, ricchi di eccitazione),
stanno ad indicare una forma di comportamento sociale
che viene assunto per chiedere l'inserimento nel Branco
Famiglia (ricordiamo il concetto di
socialità che ha un Cane, simile a quello dell'Avo
Lupo e ben diverso dal nostro). La richiesta di accettazione
o il mantenimento di un assenso, possono essere personificati
dall'attore, in movenze infantili e /o sottomissive; nell'arco
del tempo, gli atteggiamenti possono rimanere tali o cambiare
a seconda del carattere dell'individuo e di quello dei
soggetti che compongono il Branco Famiglia.
L'Animaletto rispetterà sempre il suo livello
minore rispetto al Faro, se il Faro sarà sempre
un Faro.
Se la luce non sarà piú presente o lo sarà
ad intervalli, l'Animaletto prenderà le sue decisioni
a riguardo, per la salvaguardia dell'equilibrio familiare,
nonchè la certezza di sopravvivenza dello stesso.
Diventerà lui il Faro? Andrà a cercarsi
un altro Faro? Si farà i beati afFari suoi? Non
possiamo dirlo, tutto è possibile, dipende dalla
situazione e dalla stabilità caratteriale del soggetto.
Questo vuol dire che può rimanere tranquillino
da una parte, prendere le redini del carro, oppure andarsene.
Il Lupo solitario come scelta e come situazione permanente,
non esiste. Anche il Lupo ha bisogno della Famiglia. Il
Cane non è da meno!!! ... questo ci porta a credere
che ''Egli'' rimarrà nella Famiglia fino all'ultimo
(di solito se vanno via è perchè la Famiglia
non è una Famiglia o comunque non lo ha accolto
in modo tale da permettergli un adeguato inserimento e
affiatamento).
Noi umani riconosciamo i vari comportamenti in due stupide
affermazioni: Rimane e sta buono = riconoscente e grato;
diverso (non rispettoso, fuggiasco, mordace, sordo per
scelta ecc) = no!
Noi umani riconosciamo in questi due opposti, l'Animale
grato e quello ingrato, non tenendo minimamente conto
della stragrande differenza di interpretazione e coscienza
del rapporto sociale/familiare che esiste fra la nostra
specie e le altre.
Mi chiedo allora: Chi è, fra gli Animali (tutti,
noi compresi), a mancare di gratitudine?
Pensiamo con grande coscienza a questo: i Cani non hanno
chiesto di essere selezionati, i Lupi che sono stati i
loro Avi, davvero non hanno pregato l'uomo di cambiare
il loro aspetto e il loro carattere; i Cani sono stati
suddivisi per tipologia psico-fisica in gruppi; fra i
vari gruppi esiste quello da compagnia.
Il Cane da Compagnia, questo conosciuto! ...ne siamo
sicuri?
Chi è il Cane da compagnia?
La badante, il figlio, il compagno, lo psicologo, l'oggetto
autistico, l'assistente sociale ... e chi piú ne
ha, più ne metta!!! ... Un Esserino che deve sbrigare
tante di quelle mansioni che a pensarci un attimo soltanto...mi
fa venire il mal di testa... E poi il più della
popolazione dice che sono i Cani da lavoro i poverini?!?!...
e loro, allora? ... i Cani da compagnia, cosa sono se
non gli operai più sfruttati e sottopagati dell'intero
circolo cinofilo?!?! Ma io dico ... finiamola una
volta tanto di dire stron.ate!!!
Se gli Animali fossero in grado di formulare la riconoscenza
se ne starebbero ben lontani da noi, perché noi
per primi non gli siamo riconoscenti per i servizi che
ogni giorno ci regalano in cambio di una ciotola di pappa
e un tetto.
***
Gratitudine: La parola più semplice
e completa che conosciamo in rappresentanza della gratitudine,
e' "grazie"; essa esprime felicità,
consenso, appagamento, riconoscenza. Grazie però,
non viene quasi mai pronunciato per essersi trovati in
una posizione privilegiata nel rispetto del prossimo e
della Natura, bensì per aver raggiunto un completamento
dello scopo prefissato. Scopo che ha operato un miglioramento
inteso come appagamento più spesso materiale che
non spirituale.
Grazie dovrebbe essere solo la rappresentazione del calore,
dell'emozione che ci dona una gioia immensa, scatenata
da una particolare luce, da un Tramonto o da un'Alba,
dalla pioggia, dalla neve, dal fiorire di una pianta o
da una nascita, da un legame che ci indica una via.
Dovremmo dire ''grazie'', di poter godere della compagnia
di altri esseri viventi, di poter assaporare profumi e
percepire la purezza dell'aria fresca; di poter passeggiare
in ogni dove liberi da impedimenti; dovremmo dire ''grazie''
di provare la gioia di condividere sentimenti e apprezzare
la diversità che ci circonda, rompendo in questo
modo la monotonia del prodotto fatto in serie.
Non cerchiamo in chi ci vive accanto la versione di chi
vorremmo essere. Non condanniamo chi ci vive accanto per
non essere chi volevamo fosse. Non accusiamo chi non può
difendersi, tacciandolo di infamia. Ringraziamolo di sopportarci.
Adesso Basta con le Idiozie Sapiens!!!
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L'Ipocrisia
www.treccani.it/vocabolario/ipocrita/
ipòcrita (ant. ipòcrito)
s. m. e f. e agg. [dal lat. tardo hypocrita, «attore»,
quindi «simulatore»; v. ipocrisia] (pl. m. -i).
– Chi parla o agisce con ipocrisia, fingendo virtù,
buone qualità, buoni sentimenti che non ha, ostentando
falsa devozione o amicizia, o dissimulando le proprie qualità
negative, i proprî sentimenti di avversione e di malanimo,
sia abitualmente per carattere, sia in particolari circostanze,
e sempre al fine di ingannare altri, o di guadagnarsene il
favore …
…
www.treccani.it/vocabolario/ipocrisia/ ipocrisìa
(ant. ipocresìa e pocrisìa) s. f. «simulazione»,
der. di «separare, distinguere», ... «sostenere
una parte, recitare, fingere»]. – Simulazione
di virtù, di devozione religiosa, e in genere di buoni
sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi
la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole:
non è umiltà genuina, è i.; nascondere
qualcosa sotto la maschera, sotto il manto dell’i.;
…
Onde nel cerchio secondo s’annida
Ipocresia, lusinghe ... (Dante).
www.micheledisalvo.com/2011/12/14/le-patologie-del-nostro-tempo-narcisismo-e-ipocrisia/
Alcuni passi di un articolo bellissimo che consiglio
di leggere: ''Negli anni ottanta, una patologia come
“il narcisismo” (di cui appunto parlava Lowen)
da appartenere “al singolo individuo” ha infettato
il modello culturale. Questo ha significato, in termini molto
semplici, che se “la follia è la mancanza di
contatto di un individuo con la realtà della sua cultura”,
trasformando la cultura, si annulla la percezione di certi
comportamenti, di certe scelte, di certi stili di vita, come
“folli”. Nella introduzione al suo saggio “il
narcisismo, l’identità rinnegata” Lowen
definisce il narcisismo una patologia che si connota come
l’estremizzazione di anteporre carriera, ricchezza materiale,
frenesia produttiva, ricerca del successo professionale a
tutti i costi, sacrificando su questo altare sentimenti, relazioni
autentiche, accettazione del limite. Il narcisismo altro non
è che un eccessivo investimento sulla propria immagine,
a spese del “sé”. I narcisisti sono più
preoccupati di come appaiono che non di cosa sentono, richiudendo
in sé i sentimenti, le emozioni, vendendole come “punti
deboli”, e considerando autentica minaccia tutto ciò
che mette in discussione la propria immagine e il proprio
equilibrio. La proliferazione delle cose materiali diventa
la misura del progresso del vivere, l’uomo viene messo
in contrapposizione con la donna, il dipendente al datore
di lavoro, individuo alla comunità. Quando la ricchezza
occupa una posizione più alta della saggezza, quando
la notorietà è più ammirata della dignità,
quando il successo è più ammirato del rispetto
di sé, vuol dire che la cultura stessa sopravvaluta
l’immagine e deve quindi essere ritenuta “narcisista”.
Come osservava lo stesso Lowen “i narcisisti
sono più preoccupati di come appaiono che non di cosa
sentono. In realtà negano i sentimenti che contraddicono
l’immagine che cercano. Agendo senza sentimenti, tendono
ad essere seduttivi e manipolativi, aspirano ad ottenere il
potere ed il controllo sugli altri”, e lo chiamano successo.
Nonostante il loro apparente successo, molte persone si lamentano
di depressione, si sentono vuote, irrealizzate, non hanno
emozioni, si sentono profondamente frustrate ed irrealizzate”
Figlia di questa cultura patologica, è
un’altra forma di patologia, che infetta la nostra società
negli anni novanta, come risposta analgesica alla solitudine,
alla depressione, alla mancanza di sentimenti. L'ipocrisia
è la qualità della persona che volontariamente
pretende di possedere credenze, opinioni, virtù, ideali,
sentimenti, emozioni che in pratica non ha. Essa si manifesta
quando la persona tenta di ingannare con tali affermazioni
altre persone, ed è quindi una sorta di bugia.
All'esterno mostravano una splendida
figura, covando nel loro interno il loro cupo pensiero reale
(Dante Alighieri, Inferno - Canto
ventitreesimo)
un ipocrita é colui che cerca di difendere
le sue azioni con parole inadeguate e sconnesse con i fatti,
… spesso fa la scelta sbagliata quindi è costretto
a voltarsi indietro (metaforicamente parlando) per seguire
l'altra strada anche se consapevole che all'errore commesso
non si rimedia.
Considero ipocrita la nostra finta uguaglianza,
presupposto di qualsiasi concetto di democrazia, che dovrebbe
essere parità di accesso alla vita. In realtà
la nostra è solo un’eguaglianza di consumi, di
accesso all’acquisto di beni. E confondiamo la possibilità
di comprare, di avere tutti le stesse cose, di poterci confondere
nelle apparenze, con una uguaglianza di diritti e possibilità
che non abbiamo.
Persi in una cultura narcisista,
in cui chi veramente è narcisista non ha altra via
che recitare la parte del populista urlatore anticonformista,
antidoto ambulante a che questa cultura non sani mai se stessa,
nel mondo dell’apparire anestetizziamo con l’ipocrisia
ed assopiamo quel po’ di sentimento autentico che ancora
sa farci stare male pretendendo, sempre più saltuariamente,
di venire fuori. |
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