La socialità è la tendenza a vivere in
gruppo di alcuni Animali, fra cui l’uomo.
Di norma l’essere che nasce in una comunità,
ha la predisposizione a vivere in un contesto di più
esseri della sua specie ma non è detto che non
possa vivere anche con soggetti di altre specie se anch’essi
sono Animali sociali; così come però non
è detto che possa farlo se dall’altra parte
non esiste disponibilità di intesa, ossia un alto
livello di socialità. Fra il dire che due specie
animali possono coesistere in quanto sociali e il metterlo
in pratica ci passa un oceano di ragioni, altrimenti,
Animali sociali come il Lupo e l’uomo, o il Cervo,
l’uomo e il Lupo, prede e cacciatori, potrebbero
andare d’amore e d’accordo.
Il Cane è la dimostrazione pratica e più
facilmente comprensibile per noi uomini, di cosa si intende
per Animale sociale in grado di vivere con una specie
diversa dalla sua.
(fondamentale il rispetto fra gli esseri, altrimenti
la coesistenza non è più da considerarsi
sociale ma assoggettante)
L’essere sociale porta l’Animale sociale
a cercare una comunità in cui inserirsi, se già
non ne appartiene ad una.
Chi è provvisto di una alta socialità, è
indotto, invogliato, attratto, disponibile alla conoscenza
con il prossimo; chiede e risponde in maniera positiva
a chi, come lui, è un soggetto sociale che come
lui, chiede e risponde. Non è capace di vivere
la solitudine e cerca in continuazione l’interazione
con il prossimo.
Un’alta socialità induce all’abbattimento
di qualità naturali come la possessività,
e istinti come la territorialità, caratteristiche
che portano a creare dissapori sociali compromettenti
per la funzionalità della collettività (società).
Abbiamo nelle sfere dei Cani ferali, un esempio molto
spiccato di socialismo, che in gergo politico è
l’abbattimento delle proprietà, e in gergo
naturale, è la linea orizzontale su cui tanto si
discute e che spesso porta a confondere docilità
e socialità.
La docilità è la conoscenza e il rispetto
delle leggi del Branco (o Famiglia), la socialità
è la disposizione a vivere in una comunità
che non necessariamente deve essere la propria Famiglia
o solo.
Tenendo fermo nella mente questo punto di diversità
fra le due qualità proprie di individui che vivono
con altri individui, è facile capire l’enorme
differenza che esiste fra loro ed è facile capire
che un individuo docile non per forza deve possedere una
buona socialità intesa come divulgazione dello
stato di familiarità con chiunque altro mostri
socialità.
Il Cane ferale vive in uno stato di passività
sociale, ossia, vive nell’ambito di un gruppo che
di fatto non è che un assembramento di individui
che parassiteggiano uno accanto all’altro nelle
zone limitrofe ai villaggi dove vanno elemosinando cibo,
e che fra loro (fra Cani), ogni tanto interagiscono (ad
esempio: durante il periodo di estro delle femmine).
È risaputo come in queste comunità non esiste
fra i Cani, nessun livello gerarchico manifesto agli occhi
del comune osservatore, poiché i livelli di diversità
caratteriale sono bassissimi; i soggetti che manifestano
atteggiamenti dominanti, infatti, vengono prontamente
soppressi. Questo ha permesso lo sviluppo di generazioni
più che inibite nel carattere, o forse sarebbe
meglio dire, dal carattere piatto, che ha portato alla
formazione della famosissima linea orizzontale che a sua
volta sta portando al desiderio di generalizzazione dei
comportamenti nell’ambito dei Branchi, intesi come
naturali e posticci, quali quelli dei Lupi in Natura e
dei Cani nelle società umane.
Si è diffamato il credo della diversità
gerarchica (quindi caratteriale), in base al fatto che
se l’Animale tipo il Cane ferale, può convivere
allo stato brado senza entrare in collisione esistenziale
l’uno con l’altro, essendo comunque un Animale
non di allevamento (comuni razze conosciute) e perciò
''naturale'', può ugualmente esserlo un Branco
di Lupi formato ''naturalmente'' da una Mamma e un Papà
e tanti Filgioletti, e il Cane domestico (il Cane di casa).
Questa ipotesi fa acqua da tutte le parti perché
non viene tenuta in considerazione la diversità
di vita, la diversità dei ruoli necessaria per
la sopravvivenza, e quindi non viene assolutamente considerata
la necessaria personalità individuale e quindi
gerarchica.
Nei Branchi ferali non esistono estremi dominanti e non
esiste diverbio alcuno per via del piattume caratteriale
(oltre al fatto che non devono lottare per il territorio
o per il cibo - cosa che avviene invece nei Gruppi che
vivono realmente in maniera selvatica, vedi ad esempio:
il Dingo); con piattume caratteriale non voglio dire che
chi ha carattere è un litigioso, ma non essendoci
nessun compito da ottemperare, nessun pericolo dal quale
salvarsi, nessuna preoccupazione per procacciarsi del
cibo (fornito dalle discariche e dall’elemosina),
nessun soggetto è provvisto di un compito e perciò
non ha bisogno di distinguersi in una qualche specializzazione
(che porta ad una diversità caratteriale fra individui
– nessuno può saper fare tutto e saperlo
fare bene); e anche la riproduzione avviene a casaccio,
chi arriva per primo ha la precedenza e chi arriva dopo
si mette in fila (risposta ad un impulso e non spinta
alla salvaguardia del Branco); non sono i soggetti più
forti (intesi come stabili e idonei a condurre una Famiglia
verso un futuro) a riprodursi, ma quelli che capitano
in zona.
Ricordo che chiunque mostri un dentino, vuoi anche perché
gli si è incastrato un labbro su una gengiva, o
accenni un suono similare ad un ringhio, che sia pure
solo un colpo di tosse male interpretato, questo individuo
viene ‘’soppresso’’.
Mi viene da pensare se il Cane ferale è ancora
in grado di vivere la docilità.
Nota: Il processo di socializzazione assume caratteri
diversi anche in base alle classi sociali. Per esempio,
la classe media ha una tendenza a incoraggiare le nuove
generazioni all’autonomia, all’autocontrollo,
alla fiducia in se stessi; al contrario la classe operaia
(storicamente) incoraggia tendenzialmente più alla
conformità, all’obbedienza, all’ordine.
Oggi però, questi fattori risultano meno incisivi
in una società moderna.
Frank Riessman ha individuato il prevalere della personalità
eterodiretta (dipendente dal giudizio e dai messaggi dei
media) nella società moderna rispetto a una personalità
autodiretta (dipendente da criteri e valori interiorizzati)
della società pre-moderna.
Christian Schonwetter spiegò come i genitori siano
dotati di una razionalità inconsapevole nei confronti
del rapporto con i propri figli per cui più ci
si trova in una classe sociale bassa, tanto più
il genitore tenderà a impostare in maniera totalitarista
il rapporto con i figli, quasi preparandoli alle difficoltà
sociali che quella classe comporta.
Laddove esiste docilità esiste socialità?
Si e no!
Un Branco di Lupi è un nucleo composto da soggetti
docili e sociali (interagiscono fra loro in maniera sociale)
ma a seconda della motivazione che mette in ballo la socialità,
essi agiscono indipendentemente dalla docilità
o comunque non in strettissima partecipazione; per ciò
che riguarda l’intromissione della docilità
nell’ambito delle interazioni interne, che di norma
sono in questi casi ‘’attività di rilassamento
o attività ludiche’’, dobbiamo ricercare
la docilità nelle modalità espressive di
rispetto allorquando si passa il limite di scambio. Ma
non possiamo dire che i Lupi siano altamente sociali (che
possono vivere con qualsiasi altro Animale in maniera
diciamo ‘’pacifica’’), non fosse
altro per il fatto che devono sfamarsi e quindi cacciare,
cosa che i Cani ferali non debbono fare, visto che racimolano
cibo fra le immondizie o per accattonaggio.
Un Branco di Cani randagi è un nucleo composto
da soggetti docili nell’intimità del Branco
e potenzialmente docili nel contesto esterno, sociali
nel Branco (cercano interazione fra loro) potenzialmente
sociali nel contesto extra familiare; i loro comportamenti
sono dettati dalle esperienze vissute, e tramandate attraverso
l’apprendimento, dai loro genitori; comportamenti
che possono essere modificati poiché soggetti più
agevolmente duttili rispetto ad un Animale selvatico.
Modalità dettata dalla vita, ormai secolare, vissuta
accanto all’uomo.
Il Cane che vive in famiglia, a seconda della razza di
appartenenza ha un grado di socialità più
o meno pronunciato. Ricordiamo: la socialità è
la predisposizione ad interagire con il prossimo, ma più
ci si allontana dai livelli centrali dei gradi di crescita,
più questa qualità si modifica nella presentazione.
Un cucciolo acquista un buon grado di socialità
extra-familiare, se le esperienze che vive dal momento
in cui entra in contatto con il mondo esterno, sono presentate
da un essere di cui si fida appieno.
La socializzazione extra familiare non deve mai essere
proposta ad un individuo che non sia in piena comunione
con chi lo accompagna in tale esperienza e tutte le esperienze
che dovrà vivere l’adepto dovranno essere
positive e altamente istruttive in ordine idoneo all’età
del soggetto e alle esperienze già vissute; non
dovrà (l'individuo) entrare in contatto con esseri
non equilibrati, dovrà conoscere prima di entrare
in contatto con nuovi Animali sociali, il rispetto del
prossimo e conoscere già un piccolo rituale di
avvicinamento.
Un brusco impatto, vissuto in solitaria con elementi non
equilibrati, può segnare un individuo per tutta
la vita.
Un Animale sociale non ama stare solo, ma se capisce
che la separazione è solo momentanea, egli l’accetta
per docilità e impara per duttilità l’attesa.
Ho conosciuto una meravigliosa Golden che non aveva molta
esperienza di vita al di fuori del suo Branco, e pur non
amando allontanarsi dal suo punto fermo (la Compagna umana),
vedendomi mi è venuta vicino, mi ha toccata e si
è fatta toccare, ha passeggiato con me allontanandosi
dal suo faro una decina di metri. Questo è indice
di predisposizione alla socialità.
L’età della socializzazione è importantissima,
mai bisogna prevaricare i tempi della socializzazione
primaria, che avviene all’interno della propria
Famiglia nel periodo che va dalla nascita all’età
in cui il piccolo può uscire dalla tana; in campo
umano l’età del Bimbo da considerarsi come
step per il gradino successivo è il momento dell’inserimento
nelle scuole primarie; bruciare le tappe, per avventurasi
e far avventurare il discepolo, il cucciolo, il figlio,
nella socializzazione secondaria (in un nucleo esterno
alla Famiglia) può essere oltremodo pericoloso
per la crescita psichica dell’individuo, perché
il piccolo potrebbe riscontrare un disagio conflittuale
che lo segnerebbe duramente.
Quando un cucciolo lascia la Mamma e i Fratellini, si
trova ipoteticamente nell’età in cui può
cominciare a conoscere cosa c’è al di là
della tana, il giardino di casa assume un aspetto fondamentale
per la crescita; in quel giardino deve cominciare a conoscere
l’estraneo, che verrà presentato a lui dapprima
attraverso l’odore portato da un familiare e poi
facendo la conoscenza diretta, e in seguito, quando mostrerà
tranquillità sociale, il passo per uscire dal cancello
sarà breve, purchè le conoscenze che avverranno
fuori, siano fatte con coscienza e non a caso e/o in maniera
caotica.
Tutto ciò può avvenire se il cucciolo continuerà
a vivere nella sua casa, nell’ambiente dove è
nato, e non se ne uscirà per andare a vivere in
un altro Branco; tempi e modi cambieranno.
All’età di due mesi, è piccolo per
uscire da casa, ma se deve trovare una famiglia adottiva
è forse l’età giusta, ha un tale bisogno
di sentirsi parte del Branco, che trovandosi solo, cercherà
in tutti i modi di accattivarsi i nuovi familiari. Nel
momento in cui arriverà nella nuova Casa, dovrà
cominciare l’adattamento ad essa prima di entrare
in contatto con altri estranei, altrimenti, se ciò
accadrà, si manifesteranno in lui comportamenti
confusi: se è un soggetto dal carattere amichevole,
chiederà a chiunque assistenza familiare (appartenenza
– fare le feste), se al contrario, sarà un
soggetto timido, può rimanere fortemente segnato
dallo stress creato dal disagio.
Le razze di appartenenza (la razza del soggetto) segnano
un indirizzo importante per la crescita nel sociale, perché
contraddistinguono caratterialmente in maniera non equilibrata.
Mi spiego meglio: il primo stadio neotenico è il
cucciolo della tana – razze altamente infantili;
il secondo stadio è il cucciolo del giardino di
casa – razze infantili ma che iniziano ad interagire
in maniera più attiva con ciò che è
esterno alla tana; il terzo è quello del parco
– ragazzini e giovanotti che osano senza ancora
però essere grandi; il quarto stadio è quello
del giovane adulto che comincia a relazionarsi in maniera
più seria con il mondo esterno e comincia a prendersi
delle responsabilità; il quinto è l’adulto
– nel Cane non esiste questo stadio, esiste un grado
border line che si trova fra questo e il precedente e
che in alcuni soggetti molto evoluti può condurre
al quinto.
Più siamo vicini al primo stadio e più ci
allontaniamo del terzo, meno il livello sociale può
essere preso sottogamba e per questo, diventa più
importante il rapporto all’interno della Famiglia/Branco
per poter iniziare l’inserimento nel mondo al di
fuori della sfera familiare.
Mai mai mai precorrere i tempi, mai mai mai sottovalutare
il divario fra la crescita sociale primaria e quella secondaria.
Possono verificarsi danni psicologici se si precorrono
i tempi.
Attraverso la socializzazione l’individuo apprende
schemi comportamentali che segnano il suo carattere, tutte
le esperienze sociali devono essere vissute in equilibrio,
con soggetti equilibrati, sotto l’occhio vigile
del familiare. Se la socializzazione non avverrà
seguendo tempi e modi opportuni, saremo gli artefici di
vite perdute nello squilibrio, creando alieni in una società
aliena, e forse alieni anche in un contesto sociale conspecifico,
perché a seconda delle esperienze vissute, nelle
quali rientrano anche quelle con i propri simili, se non
avremo saputo valutare gli interlocutori, e si fossero
create delle situazioni di assoggettamento non giustificato
(dettato da squilibrio e non da ragione), noi avremo creato
nel nostro Cane un dissapore tale che non lo può
rendere diverso da un ‘’alieno in un mondo
di alieni’’.
Se un individuo è sociale nel suo Branco non è
detto che debba necessariamente esserlo con altri Animali
sociali, pur non mostrando ostilità alcuna, se
egli non vuole il contatto con chi è all’esterno
non bisogna forzarlo in tal senso.
Che egli debba conoscere mi sembra giusto, ma a tempo
e modo opportuno, senza forzare gli eventi se il soggetto
non è pronto, e senza pretendere che mostri felicità
con chi è fuor della sua sfera; l’importante
è che impari il rispetto fra gli esseri.
Un soggetto che ha vissuto male la socialità vive
peggio di un soggetto che non l’ha conosciuta, perché
mentre il primo ha subito delle negatività, il
secondo no, per cui non ne conosce l’esistenza;
per lui , dopo un primo periodo di diffidenza sarà
più facile valutare la scelta se coesistere con
il mondo esterno, farne parte o isolarsi.
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socializzazione - Importanza dell’inserimento nella
società''